Durante i sette anni di guerra civile in Siria, la popolazione è stata decimata e costretta ad abbandonare il Paese. La prima conseguenza è stata il completo abbandono dell’agricoltura e, in particolare, il famoso pepe di Aleppo è quasi scomparso.
Da quando l’intera regione attorno ad Aleppo è caduta nelle mani dello Stato Islamico, nessuno più coltiva i peperoncini che poi venivano essiccati e trasformati nel famosissimo pepe. L’economia della regione si fondava proprio sul commercio di questa spezia. Secondo la FAO dal 2011 al 2016 ogni anno c’è stata una perdita di coltivazioni per un valore di 550 milioni di dollari in parte dovuta alla mancata coltivazione e in parte al divieto di importazione di merci dalla Siria messo in atto dagli USA.
In Siria conoscevano il pepe di Aleppo più di 2.000 anni fa. Sia gli arabi che i cristiani lo coltivavano e verosimilmente i mercanti safarditi lo commercializzavano da quando la città di Aleppo era una tappa importante della via della seta. Essa era il percorso di circa 8000 chilometri lungo il quale si snodavano i commerci tra Cina e l’impero romano.
La produzione sino a prima della guerra avveniva ancora con metodi molto artigianali ed era frammentata in migliaia di piccole coltivazioni. I contadini raccoglievano i peperoncini, li ripulivano uno ad uno con della stoffa bianca, li tagliavano per il lungo per il lungo e li mettevano ad essiccare al sole sui tetti delle case. Dopo una parziale asciugatura li tritavano, li salavano e oliavano leggermente e li rimettevano ad essiccare.
Anche le coltivazioni di cumino sono quasi scomparse. Entrambe le spezie siriane avevano un aroma unico e inconfondibile. In Turchia producono un pepe simile a quello di Aleppo. Si chiama Maras pepper e, sebbene gli importatori si ostinino a dire che deriva dalla stessa pianta e che il terreno in cui sorgono le coltivazioni abbia le stesse caratteristiche di quello siriano esso è molto diverso: più scuro, più piccante, con un aroma e un sapore differenti.
La perdita di queste spezie può sembrare poca cosa rispetto all’orrore della guerra e delle sue conseguenze ma nel suo piccolo rappresenta la perdita di un patrimonio culturale e storico.