Secondo l’Enciclopedia Treccani, il gusto è il senso specifico mediante il quale sono riconosciuti e controllati i sapori delle sostanze introdotte nel cavo orale. Il cibo, masticato in bocca, si mischia con la saliva e le molecole che si liberano vanno a stimolare i recettori del gusto e i recettori dell’olfatto. La sensazione gustativa infatti, si sviluppa in un quadro sensoriale molto complesso, nel quale sono coinvolte non soltanto le sensazioni provocate dall’eccitamento dei recettori specifici del gusto, ma anche quelle evocate dai recettori buccali del tatto, del caldo e del freddo e, soprattutto, le sensazioni olfattive. La fragranza dei vari alimenti è, in gran parte, il risultato di una combinazione fra sapore e odore; se la sensazione olfattiva viene soppressa, la capacità di riconoscimento del gusto risulta considerevolmente ridotta.
Secondo Democrito, il filodofo greco vissuto attorno al 400 a.C, le sensazioni destate dagli stimoli gustativi erano quattro: dolce, amaro, salato e acido. Secondo lui, il dolce era dovuto ai bocconi “i cui atomi erano rotondi e grandi”, il salato “ad atomi a forma di triangolo isoscele che pizzicano la lingua”, l’amaro a bocconi “con atomi sferici, levigati e piccoli” mentre l’acido era dovuto “ad atomi larghi, ma ruvidi, angolari e non sferici”. Quattro erano i gusti e quattro sono rimasti per un millennio.
Quando nel diciottesimo secolo furono scoperte le papille gustative, (illustrate da Gray, nel 1918, nella sua enciclopedia di anatomia umana Gray’s Anatomy of the Human Body), furono confermati i quattro gusti. Le cose restarono così fino all’arrivo di Escoffier- il cuoco francese per antonomasia che, con i suoi sistemi di deglassatura e di cottura, scoprì di fatto un quinto gusto.
Esso rimase per anni senza nome fino a che Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università di Tokio lo chiamò umami, che in giapponese vuol dire squisito.
Egli studiando ed eseguendo ricerche sul sapore forte del brodo di alghe giapponese isolò il glutammato di sodio, un derivato dell’acido glutammico (uno dei 20 aminoacidi che compongono le proteine).
L’umami quindi è il quinto gusto: saporito ma non molto salato, facile da percepire in modo evidente nel sushi e nelle salse che lo accompagnano, nonché nei brodi di pesce o di verdure tipici della cucina del Sol Levante. Noi possiamo ben comprendere questo gusto assaggiando del parmigiano reggiano soprattutto se è stagionato o il dado da brodo.
E l’umami dà un senso anche alla cucina di Escoffier: i pezzettini di carne bruciacchiati sul fondo della padella sono proteina liberata, ricca di L-glutammato. Quando si sciolgono nel brodo, come consigliava Escoffier, queste briciole abbrustolite riempiono la nostra bocca di un gusto delizioso.
Ciò che è più realistico è il fatto che l’uso di particolari ingredienti – come le spezie e le erbe aromatiche- così come l’impiego di specifiche tecniche di cottura, contribuiscono alla formazione del gusto.
Le erbe svolgono un ruolo primario sulla parte aromatica del cibo, tuttavia conferiscono anche i propri sapori, di cui il più frequente è quello amaro, soprattutto quando sono utilizzate durante la cottura di una pietanza. La tecnica di cottura incide fortemente sul gusto a causa dell’alterazione chimica dei vari ingredienti, e questo è tanto più vero per le spezie che a seconda di come vengono utilizzate cambiano aroma e quindi gusto ( vedi articolo Cucinando).
In base al gusto le spezie e le erbe aromatiche possono essere divise come indicato sotto. Tenendo però sempre presente che esse hanno aromi complessi e quindi possono conferire più di un sapore. Con sfumature che vanno dall’amaro all’acido conferendo allla fine un gusto “pungente” e quindi appartenere a due categorie.
Dolce: anice, vaniglia, cannella, lavanda, finocchio, macis, paprica, pepe rosa dell’Oceano Indiano, liquirizia, cipolla e aglio disidratati
Acido/aspro: summacco, tamarindo, amchoor (polvere di mango disidratato ed essiccata), anardana (semi di melograno essiccati), goraka, cardamomo, curry, cumino, chiodi di garofano; aneto, basilico, erba cipollina, coriandolo, prezzemolo
Amaro: aneto, ajowan, cardamomo verde e nero, carvi, galanga, levistico, nigella, curcuma, cannella, pepe rosa del Brasile, fieno greco, chiodi di garofano, cumino, noce moscata, zafferano; menta, salvia, alloro, maggiorana, origano timo, salvia, rosmarino.
Salato: non vi sono spezie che hanno questo sapore. E nemmeno erbe aromatiche, a parte forse i gambi di sedano essiccato.
Unami: anche questo è un sapore che non appartiene alle spezie ad eccezione della paprica affumicata e dell’assafetida.
La sensazione di piccantezza di una spezia o di un’aroma, o di un alimento in generale, non corrisponde a nessuno dei 5 gusti indicati. Anche se ci sembra che un cibo abbia un “sapore” piccante, questa sensazione non ha niente a che vedere con il senso del “gusto”. Oltre ai recettori del dolce, dell’acido, dell’amaro e del salato, abbiamo infatti il “sistema nervoso” del trigemino, una rete di ricettori situati nella testa e nella faccia e soprattutto nelle cavità della bocca e del naso.
Essi sono una sorta di sistema d’allarme che ci avverte di “pericoli” quali il calore, il freddo, il dolore e che interviene anche per le sostanze piccanti presenti in alcune spezie: la capsaicina presente nel peperoncino e in altre piante del genere capsicum. Una sostanza analoga si trova nella radice di zenzero mentre il piccante del pepe deriva invece dalla piperina. La sostanza piccante del rafano è volatile e sale nel naso producendo una forte sensazione irritante.
Il piccante si avverte soprattutto nella punta della lingua dove c’è una maggiore densità di recettori del trigemino. Contrariamente al “sapore” vero e proprio, l’effetto piccante viene registrato dai recettori un po’ in ritardo. Ma dura più a lungo e per questo intercorre un brevissimo intervallo fra il morso sul peperoncino e il suo effetto dirompente.