Conosciamo e usiamo il pepe, la noce moscata, la cannella, i chiodi di garofano, lo zafferano, il ginepro e poche altre, ma quando ci troviamo di fronte una ricetta che prevede l’uso di altre spezie, diventiamo diffidenti e le percepiamo come estranee alla nostra cultura ed esotiche. Dimentichiamo che solo alcune delle spezie della nostra tradizione provengono dalle nostre terre e che tutte le altre arrivano dall’altra parte del mondo.
Questo atteggiamento di sospetto e diffidenza è abbastanza recente nella storia europea, poiché fino alla fine del 1600, invece, l’uso di una grande varietà di spezie era diffusissimo. Già in epoca romana in Italia si apprezzavano le spezie che venivano fatte arrivare dall’Africa, prima tramite carovane (fino alla costa libica) poi con le navi. Per più di un millennio le spezie rimasero sulle tavole dei ricchi, come stasus symbol. Con l’apertura delle rotte transoceaniche, le spezie inondarono il mercato al punto che i prezzi crollarono.
La nobiltà e la borghesia, dopo secoli di uso sfrenato e di abuso, abbandonarono rapidamente il loro consumo e iniziò un profondo cambiamento del gusto introdotto dalla nouvelle cuisine francese. La corte di Francia e i nobili del regno – rivolsero la loro attenzione ai profumi locali: alle spezie subentrarono l’erba cipollina, lo scalogno, i funghi, i capperi, le acciughe. La disponibilità di altri alimenti fino a poco prima sconosciuti come zucchero, caffè, ma anche verdure come patate e melanzane, pomodori e peperoni, il mais e il tacchino e soprattuto il desiderio di nuovi sapori fecero in breve cadere in disuso le spezie a favore delle erbe aromatiche ritenute giustamente più familari.
Con le spezie scomparvero le salse agrodolci e speziate, che il modello di cucina medievale e rinascimentale inevitabilmente accompagnava alle carni. Queste iniziarono ad essere accompagnate con insalate crude condite con olio e aceto: da «aperitive» quali erano state per secoli, secondo un uso ripetutamente consigliato da medici, esse divennero «contorni». Anche lo zucchero- presentato nel secolo precedente esso stesso come una spezia e come un’alternativa alle altre spezie- viene ridimensionato e servito alla fine del pasto con la funzione precisa di dessert, anziché distribuito lagamente su ogni vivanda, come i cuochi italiani avevano insegnato a fare e ancora, in parte, facevano.
Solo in Lombardia si incomincia con Stefani a usare meno spezie e meno zucchero come già accadeva in Francia, e in un suo ricettario propone: ”…. lo stufato di manzo andrà profumato solo di aglio e rosmarino …né vi metterai speziaria, perché quando sarà cotto sarà buono” (fermo restando che volendosi trattare «più onorevolmente» un po’ di pepe, cannella e noce moscata non potrà mancare).
Nel Settecento anche gli Illuministi promuovono l’eliminazione dalla tavola dei sapori forti e dell’abbondanza esagerata poichè “portava pesantezza di stomaco e incapacità di pensiero”. In italia con Pellegrino Artusi si sposa la tendenza a una maggiore delicatezza di sapori. Solo l’ultima ricetta, del suo famosissimo libro, è dedicata alle “spezie fini: noce moscata, cannella, pepe garofanato, chiodi di garofano, da tritare e miscelare nel mortaio assieme a mandorle dolci”.
Noce moscata. Usata moltissimo nel Medioevo, nei secoli è entrata nella cucina italiana dove viene usata per insaporire la salsa besciamella e il purè di patate; tradizionalmente viene aggiunta nei ripieni per tortellini, ravioli e cannelloni fatti a base di carne, formaggio o spinaci. Ma anche nella pasta di cotechini e zampone.
Cannella. Nel XIV secolo, con l’affermarsi del gusto dolce, un elemento caratteristico della cucina italiana (oltralpe continuava a prevalere il gusto agro (in Francia) e il tradizionale uso del miele (in Germania), divenne di moda l’abbinamento zucchero-cannella. Per molto tempo questa spezia fu la compagna inseparabile della panna montata e chi tra i sessantenni non ricorda i meravigliosi coni cosparsi di questa spezia che si vendevano per strada d’inverno o il “melange” (cioccolata calda con panna montata e cannella). La cannella è una delle spezie usate da sempre nel pan pepato, nel panforte senese (con noce moscata e chiodi di garofano) o nell’originale torta con gli erbi di Lucca a base di erbe selvatiche, bietole, uova, zucchero, pinoli, uvetta, parmigiano, cannella, riso bollito.
Anice. I semi derivano da una pianta ombrellifera oggi talmente diffusa in Italia, da essere considerata spontanea. Raccolti in agosto-settembre, e fatti essiccare, contengono una sostanza oleosa, l’anetolo, responsabile dell’aroma intenso. Durante l’Ottocento l’anice si affermò come ingrediente principale sia di una bevanda popolare fatta con acqua ghiacciata, sia dell’assenzio, liquore tanto caro ad artisti ed intellettuali. Oggi si trovano soprattutto in numerosi dolci caratteristici di diverse regioni come il Buccellato toscano, la Pasimata (pane dei giorni di Quaresima) di Lucca; moltissimi biscotti come i Lagaccio liguri o i più diffusi Anicini.
Ginepro. Il ginepro era già noto ai Romani, elencato da Apicio fra le spezie essenziali per un cuoco poiché era considerato anche un sostituto popolare del pepe. Nel Medioevo i suoi rametti erano utilizzati per fare il fuoco per cuocere la carne: “odorifero e buono per la carne allo spiedo, perché lascia dentro di essa il suo sapore”. Come condimento e aromatizzante, il ginepro è oggi molto apprezzato nelle marinate della selvaggina, negli arrosti, nei ripieni, nelle zuppe, e talvolta nelle marmellate. Nel Trentino si usa per insaporire patate e crauti. Inoltre le sue spiccate caratteristiche aromatiche lo rendono un ingrediente indispensabile in liquoristica, come gin e grappe.
Vaniglia. Tutti i cuochi appassionati di dolci conoscono la vaniglia che dà un tocco aromatico a creme, gelati e dessert vari. Come per la liquirizia, negli ultimi anni la si usa per aromatizzare carne e pesce.
Altre spezie. Di tutte le altre spezie sperimentate nei secoli passati è rimasto poco di tradizionale se non l’esperienza siciliana del cous cous nel trapanese (territorio con frequenti legami storici e sociali negli ultimi due secoli con Tunisia e Libia) e nelle zone vicine come Favignana, Marsala, Mazara del Vallo e San Vito Lo Capo. Il cuscus (cuscusu in dialetto) è divenuto di uso quasi quotidiano e da sempre usa curcuma, cumino, paprica, coriandolo, cannella, peperoncino.