Fin da piccolissimo Fanis ama rifugiarsi nella soffitta del negozio del nonno, un mondo di odori e di colori cui il nonno ha dato simbologie astrali. L’insegnamento dell’astronomia passa, infatti, nelle parole del nonno, attraverso lo studio delle proprietà del pepe e dello zafferano, del loro valore e del loro utilizzo. Fanis impara a conoscere gli elementi e rimane affascinato dalla possibilità, quasi da demiurgo, di poterli unire e mischiare sapientemente per creare nuovi universi. Egli, in fondo, vorrebbe proiettare quest’abilità anche nella vita di tutti i giorni, vorrebbe controllare gli eventi e gestirli con la stessa facilità e abilità con cui compone le sue ricette. Non ci riuscirà mai. Allontanato dal nonno e dal suo giovane amore trascorrerà molti anni in Grecia sentendosi estraneo a tutto e a tutti, rinchiudendosi in un mondo in cui l’atto del cucinare e di miscelare sapientemente le spezie diventa l’unico modo per mantenere vivo il ricordo delle persone care abbandonate di là dal confine e di relazionarsi con il mondo. I gesti, come quello continuo di strofinare la punta dell’indice con quella del pollice come a dosare qualche polvere, appaiono come un codice segreto di intesa e di appartenenza, lo strumento per richiamare il passato perduto. Raggiunta la maturità egli tornerà a Istambul per insegnare astrofisica e trascorrerà la sua vita rifugiandosi nella bottega del nonno ormai abbandonata e chiusa.